Malattia di Parkinson1
Cos'é la malattia di Parkinson?
La malattia di Parkinson è il disturbo neurodegenerativo più comune nel mondo dopo la Malattia di Alzheimer.1
Si tratta di una malattia del cervello a carattere progressivo causata dalla degenerazione delle cellule nervose che si trovano in un’area chiamata “sostanza nera” (SN).2
La conseguente carenza di dopamina, un importante neurotrasmettitore, che viene normalmente prodotta da queste cellule, porta ad un disturbo del movimento caratterizzato dai classici sintomi motori parkinsoniani.2
Con termine "parkinsonismo" ci si riferisce ad una sindrome clinica, che comprende sintomi tra cui la bradicinesia, la rigidità nei movimenti, il tremore a riposo, l'andatura lenta e disturbo dell’equilibrio. Nonostante la causa più comune del parkinsonismo sia la malattia di Parkinson, occorre fare una lunga diagnosi differenziale per escludere altre cause, come ad esempio l’utilizzo di stupefacenti o la presenza altre malattie.1
Quali sono i sintomi più comuni?
I sintomi della malattia di Parkinson comprendono la bradicinesia (cioè il rallentamento di tutti i movimenti volontari), la rigidità muscolare, il tremore a riposo, il disturbo della postura e dell'andatura.
Le caratteristiche dei sintomi motori nei pazienti con malattia di Parkinson sono eterogenee, e ciò ha spinto a tentare di classificare la malattia in diversi sottotipi, in base ad osservazioni cliniche empiriche:
- Tremorigeno, in cui il tremore è dominante (con relativa assenza di altri sintomi motori);
- Non tremorigeno (che comprende la sindrome acinetico-rigida e il disturbo dell'andatura da instabilità posturale);
- Fenotipo misto o indeterminato con diversi sintomi motori di gravità comparabile.
Il decorso, la prognosi e l’eziologia della malattia differiscono tra i diversi sottotipi.2
Esistono anche sintomi non motori che includono disturbi olfattivi, deficit cognitivi, sintomi psichiatrici, disturbi del sonno, disfunzioni del sistema nervoso autonomo, dolore e stanchezza. Questi sintomi sono comuni nella malattia di Parkinson in fase iniziale e sono associati ad una ridotta qualità di vita.2
Parkinson: la progressione della malattia
La progressione della sintomatologia varia molto da paziente a paziente.
All'inizio della malattia, i sintomi sono di solito unilaterali e lievi e la risposta al trattamento è buona o eccellente, senza alcuna variabilità nella facilità di movimento nel corso della giornata. Nonostante i sintomi progrediscano e i disturbi motori compaiano anche nella parte controlaterale del corpo, la risposta al farmaco è, di solito, garantita. Questo è spesso chiamato il periodo della “luna di miele”.3
Con la progressione della malattia, i trattamenti diventano più complessi, con la comparsa di effetti collaterali potenzialmente invalidanti, e la risposta ai farmaci meno affidabile. Possono comparire disturbi dell'andatura e dell'equilibrio e difficoltà di deambulazione e deglutizione, difficili da trattare.3
La malattia impatta sempre più sulla qualità di vita e porta il paziente a dover chiedere un supporto per svolgere le normali attività quotidiane.3
I pazienti con malattia di Parkinson, rispetto alla popolazione generale, sono soggetti a più numerosi accessi d’urgenza in ospedale e a un numero maggiore di ricoveri con degenze più lunghe e una maggiore mortalità. In questi pazienti, un’età avanzata e la presenza di demenza sono fattori predittivi di una mortalità più elevata.3
Quali sono i fattori di rischio associati alla malattia di Parkinson?
L'incidenza della malattia di Parkinson è bassa prima dei 50 anni e aumenta rapidamente con l'età, raggiungendo un picco intorno agli 80 anni. La malattia, inoltre, colpisce più frequentemente gli uomini rispetto alle donne.4
Oltre all’età e al genere, ci sono alcuni altri fattori che possono incidere sullo sviluppo della malattia:
- Esposizione a pesticidi. L'evidenza che l'esposizione ai pesticidi aumenti il rischio di Malattia di Parkinson è sostanziale, ma il rischio associato a specifici composti rimane incerto.
- Metanfetamine. In diversi studi l’uso di metanfetamine è stato associato ad un aumento del rischio di sviluppare la Malattia di Parkinson.4
- Melanoma. Un altro fattore di rischio è il fatto di avere sviluppato un melanoma, personalmente o un proprio familiare, suggerendo una predisposizione genetica.4
- Lesioni cerebrali traumatiche. Traumi al cervello possono causare danni (come, ad esempio, la rottura della barriera emato-encefalica o un'infiammazione cerebrale di lunga durata), che potrebbero contribuire ad un aumento dell'incidenza della malattia di Parkinson.4
- Prodotti lattiero caseari. Diversi studi hanno evidenziato che il rischio sviluppare la Malattia di Parkinson è maggiore tra le persone che consumano un’elevata quantità di latte e latticini, specialmente per quanto riguarda gli uomini. Anche se la causa di questa associazione non è ancora del tutto nota, sembra non essere dovuta ad alcune componenti del latte quali il calcio e la vitamina K.4
Esistono dei fattori protettivi dal rischio di malattia di Parkinson?
Caffè e caffeina
I bevitori di caffè hanno un rischio minore di sviluppare la malattia rispetto a chi non consuma caffeina. Ciò è vero soprattutto negli uomini.4
Tabacco
L'evidenza che l'uso del tabacco diminuisce il rischio di Malattia di Parkinson è ad oggi convincente. Sembra strano a dirsi ma il fumo, in questo contesto, risulta protettivo.4
The nero e The verde
Anche i consumatori di The sembrano avere un rischio minore di sviluppare la malattia. Ciò è probabilmente dovuto alla presenza di sostanze presenti nel the, oltre alla presenza di caffeina.4
Attività fisica
Non è ancora del tutto chiaro il meccanismo protettivo dell’attività fisica, ma sicuramente è importante tenere presente l’aumento del rilascio di alcuni fattori benefici per le cellule del cervello e una regolazione dei livelli di dopamina.4
Bibliografia
1 Reich SG, et al. Med Clin North Am. 2019;103(2):337-350.
2 Kalia LV, et al. Lancet. 2015 Aug 29;386(9996):896-912.
3 Sveinbjornsdottir S. J Neurochem. 2016;139 Suppl 1:318-324.
4 Ascherio A, et al. Lancet Neurol. 2016;15(12):1257-1272.
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